2023 e possibile sblocco IPO

Introduzione

Il 2021, con una raccolta di ben 459.9 miliardi di dollari US, era stato un anno emblematico per le quotazioni in borsa: a guidare il fenomeno erano state le numerose IPO di imprese operanti nel tech e nel healthcare, che complessivamente erano valse per circa il 46% del volume annuo. Il mercato era euforico ed accettava volentieri una buona dose di rischio: durante il covid diverse start up operanti nel tech e nel healthcare avevano scalato e stavano raggiungendo multipli incredibili. Nonostante ciò, già nel quarto quarters del 2021 le cose hanno iniziato a rallentare, preannunciando di fatto uno dei peggiori anni delle ultime decadi per quanto riguarda le quotazioni in borsa: le operazioni di IPO, nel 2022, hanno infatti raggiunto un volume di appena 179.5 miliardi di dollari US, ovvero una variazione negativa year over year del 61%. Proviamo quindi a capire quali sono stati alcuni dei principali fattori che hanno portato a questo importante calo e analizziamo come essi si potrebbero trascinare anche nel 2023.

Incertezza

L’alta inflazione, la guerra Russia-Ucraina e le politiche restrittive messe in campo dalle banche centrali hanno sicuramente caratterizzato il 2022. Il mercato azionario ha logicamente risposto negativamente ai vari fenomeni macroeconomici avvenuti negli ultimi dodici mesi e si è caratterizzato per un’alta volatilità e una forte tendenza ribassista. Questi fattori hanno sicuramente giocato un ruolo importante nella forte riduzione di quotazioni. Infatti, un mercato come quello attuale, da un lato blocca le società, che hanno timore di effettuare delle quotazioni fallimentari e cercano quindi di posticipare la propria IPO. Emblematici i casi di Stripe e Klarna, entrambe fintech di successo, che avevano annunciato una propria quotazione in borsa nel 2022 e che si sono viste obbligate a posticipare il tutto.
Dall’altro lato gli investitori, in condizioni di forte incertezza, riducono drasticamente i loro acquisti di asset rischiosi come, ad esempio, le share di una società neo-quotata. Infatti i titoli di società in IPO, storicamente, presentano diverse tipologie di rischio:

  • Non si hanno storici delle prestazioni della società attendibili e quantitativamente sufficienti
  • I founders e l’investment bank che stanno effettuando l’operazione godono di chiare asimmetrie informative e puntano ad ottimizzare i propri profitti
  • Generalmente le operazioni di IPO vengono accompagnate da relative campagne di marketing, i cosiddetti financial roadshows, finalizzati principalmente ad accrescere l’hype sul titolo ed in secondo luogo ad innalzare il prezzo di emissione

IPO 2021

Come anticipato in precedenza il 2021 è stato un anno veramente incredibile per quanto riguarda il volume di operazioni IPO, ciò che è però stato meno strabiliante sono state le performance dei nuovi titoli quotati: osservando il Renaissance IPO ETF si può osservare come questo abbia fortemente sottoperformato rispetto al S&P 500 Index per l’intero 2022. Inoltre, secondo i dati del Dow Jones, a dicembre 2021 solamente il 34% dei titoli provenienti da IPO annuali erano scambiati ad un prezzo pari o superiore al prezzo di emissione. Infine, secondo i dati di Bank of America in media ogni titolo statunitense neo-quotato nel 2021, a sei mesi dalla sua emissione, aveva perso il 14% del proprio valore iniziale. Questi dati rappresentano bene come molto probabilmente il risultato delle IPO del 2021 abbiano ampiamente contribuito a limitare fortemente nuove quotazioni nel 2022.

SPAC

Infine le SPAC, che durante il 19, il 20 e il 21 erano state un trend in crescita esponenziale, nel 22, sono sostanzialmente scomparse. Le SPAC, o Special Purpose Acquisition Companies, sono una tipologia di società ideata per velocizzare e alleggerire il processo di quotazione, che nella sua forma classifica prevede diversi controlli, un lasso di tempo medio che si aggira intorno ai 6 mesi e una sostanziale fonte di costi per la società (per via dell’investment banking e dei vari consulenti che deve coinvolgere). Tutto questo iter è infatti particolarmente dispendioso per le società che vogliono andare verso un processo di quotazione, ma soprattutto per le svariate start up che vedono nella propria IPO un punto di arrivo per stabilizzare i propri flussi di cassa: spesso queste società investono interamente la propria liquidità per far scalare il proprio business e non dispongono del tempo e delle risorse necessarie per andare ad effettuare un iter del genere. 

Ecco quindi che entrano in gioco le SPAC, ovvero delle scatole societarie vuote, gestite generalmente da manager di rilievo, che si quotano in borsa senza nessun tipo di asset o di business, ma con l’obiettivo di raccogliere equity successivamente utilizzabile in operazioni di M&A. Infatti, essendo vuote, queste società non devono effettuare processi di quotazione particolarmente impegnativi e grazie alla fama del manager che le gestisce (detto anche sponsor, per via del suo ruolo) possono arrivare ad attirare l’attenzione di un numero considerevole di investitori. Una volta ottenuta la liquidità necessaria dagli investitori la SPAC ha circa tra i 18 e i 24 mesi per andare ad effettuare l’acquisizione di una società non quotata e, in modo indiretto, di portarla sul mercato.

Per capire la grandezza del fenomeno si pensi come le SPAC nel 2019, dopo anni di lenta crescita, erano arrivate a contare per circa 13 miliardi di dollari US, nel 2020 con l’inizio del boom avevano raggiunto un volume di circa 83 miliardi e infine nel 2021, con una variazione year over year positiva del 95%, erano arrivate a valere per circa 162 miliardi. Nel 2022 invece, le SPAC, hanno raccolto solamente 13 miliardi di dollari US, tornando di fatto ad un volume inferiore a quello del 2019. Ovviamente le varie condizioni che hanno influenzato il fenomeno delle quotazioni in borsa, analizzate in precedenza, hanno impattato anche su questa tipologia di operazione; ma il loro calo, anche in questo caso, non è del tutto e unicamente riconducibile a condizioni di mercato: le SPAC hanno infatti fortemente disatteso le aspettative degli investitori, raggiungendo in media un ROI del 1,7% (contro un’aspettativa del 3,1%) e un ARR del 0,2% (contro un’aspettativa del 0,9%). Inoltre è da tenere in forte considerazione come molte SPAC siano attualmente quotate senza essere ancora riuscite ad acquisire nessuna società: ogni nuova SPAC che inizierà il proprio processo di quotazione andrà virtualmente a competere con quelle già esistenti per un numero finito di società target. Il mercato delle SPAC, spinto dall’ottimismo del 20/21, sembra quindi essersi saturato in modo particolarmente precoce senza portare grandi profitti ai suoi investitori.

Conclusione

Il 2023 molto probabilmente non sarà l’anno di ripresa delle IPO (né tanto meno delle SPAC). Difatti le condizioni macroeconomiche globali non sembrano essere destinate ad una veloce e precoce ripresa. Inoltre il continuo innalzarsi dei tassi d’interesse potrebbe portare ad una generale difficoltà delle imprese e ad una ritrovata attenzione degli investitori riguardo al mercato obbligazionario. Molte società e start up che avevano previsto la propria IPO nel 2022 potrebbero considerare un ulteriore rallentamento della propria quotazione, attendendo scenari più favorevoli e un mercato più ottimista.

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